Serra San Quirico è uno spacco di case, abbarbicato alla roccia, che cerca di uscire, lungo, dall'Appennino. Ma non ci riesce, perché rimane parzialmente nascosto.
“Lungo”, perché, salendo dalla strada per arrivarci, lo si percepisce come un agglomerato a striscia, sotto le montagne innevate incombenti. Le case sono di pietre squadrate di color beige chiaro e scuro, assomigliano molto a dei grossi mattoni.
Le Copertelle è un locale appena dentro al centro storico, in una vecchia casa di pietra. La struttura architettonica da cui prende il nome il ristorante è costituita da un camminamento coperto sopra il muro di cinta della cittadella fortificata di Serra San Quirico. Il ristorante poggia proprio sopra le “copertelle”.
L'ingresso non è molto agevole, perché dopo la porta c'è subito un gradino che scende, mezzo rotto, e bisogna star attenti. Si entra nella stanzetta reception del locale, che è anche affitta-camere. Poi, dopo un paio di corridoi stretti, si arriva ad una sala da pranzo divisa da un grosso muro, con apertura ad arco... circa una sessantina di coperti, arredo semplice, con sughero alto un metro e mezzo alle pareti e manifesti musicali di Severino Gazzelloni, risalenti agli anni sessanta.
Fuori c'era il sole glaciale di gennaio e strade pressoché deserte. Dentro, tanta gente, tanto caldo e profumi e vapori venefici (a seconda dei gusti) di funghi e di tartufi.
Il proprietario/cameriere, un simpatico sessantacinquenne che sorride dietro un paio di baffoni bianchi, ci accoglie con molta cortesia. Bagni vecchiotti, vicino alla porta della cucina.
Da bere, assieme a due caraffe di acqua, una naturale ed una gasata “in casa”, non posso che ordinare un Lacrima, della cantina Vicari di Morro d'Alba, ad una mezz'ora di macchina da lì.
Il vino ci vien portato sfuso in un fiaschetto da mezzo litro ed è della vendemmia 2010. Grande aroma fruttato, o meglio “fiorato” , è però un po' troppo “tòrbolo” per i miei gusti... non mi sembra una bella cosa mettere in tavola un vino con così pochi travasi. Comunque, è buonino, anche se non trova la mia piena soddisfazione.
Il menu è molto interessante e pieno zeppo di specialità locali. Io prendo un piatto di spaghetti al farro biologico, con broccoletti e pomodorini freschi, cotti al momento. La Eli si fa portare strozzapreti del Monte Murano con funghi: carpenelle, morette, gallucci, sanguinelle, grigiotti. La Marta gli stessi miei spaghetti al farro, ma conditi con i carciofi saltati. Tutti con una spolverata di pecorino di fossa.
Buonissimi i miei spaghetti, eccezionali quelli della Elisa, con una quantità strabordante di funghi. Alla Marta sbagliano piatto portando i miei stessi spaghetti, ma poi rimediano, dopo un quarto d'ora d'attesa, con quelli da lei chiesti (li avevano rifatti e ri-saltati in tegame).
Molto buono il pane, messo in tavola con un certo ritardo dal nostro amico; sul menu è spiegato che viene fatto con farina proveniente da grano coltivato a basso impatto ambientale (non so esattamente cosa vuol dire, ma mi suona bene ) e a lievitazione naturale (lievito madre).
Di secondo avevamo ordinato una terrinetta di stufato di pecora, preveniente dall'azienda agricola S. Romualdo di Val di Castro, altitudine 900 mt., con pascolo biologico.
Arriva dopo 35 minuti dalla fine dei primi, non poco...
La pecora si poteva anche mangiare in due, era buona, cotta con sedano e dadini di carote, anche se un po' troppo ossuta, poverina, nervosa e agitata... ho succhiato molti ossi...
Quindi un tris di contorni in un tagliere di legno: patate pure biologiche (il cameriere ci ha precisato con gioia che potevamo mangiare anche le bucce... ), cotte alla brace (buone), e porzione di funghi porcini che la Marta si è pappata tutti da sola (eccellenti a suo dire).
Pessimo invece il radicchio rosso alla griglia, con le foglie tutte bruciacchiate e secche. Per cuocerlo in questa maniera, il radicchio rosso dev'essere del tipo “trevigiano”, con la costa consistente e carnosa; invece quello servito era tipo “Chioggia”, come il "Verona" con molta foglia, che ha subito ceduto al calore della brace. Nell'Appennino marchigiano forse non sono ben al corrente delle diverse tipologie del radicchio veneto.
Il conto è di 42 euro in tre, prezzo onestissimo. Non sono stati messi in conto i coperti.
Trattoria a conduzione familiare, con una predilezione per il biologico, tanta simpatia ed estro.
Chi dovesse andare a Roma, passando dalla zona di Ancona, può fermarsi ad assaggiare i numerosi piatti particolari del territorio (tra cui i gamberi di fiume), far un giro, con più calma di noi, sul Monte Murano e vedere tante altre belle cosine di Serra S.Quirico.
Consigliato!
[cioz]
07/01/2011