Sabato 13 debbo andare a Zola Predosa a riconsegnare un apparecchio che ho noleggiato. L'appuntamento è per le 10.00 del mattino. Mi presento puntuale e quando esco... mi hanno fatto visitare la fabbrica....sono le 11.00. Mia moglie in macchina non ne può più. Incazzata mi dice che adesso sono a sua disposizione. Ok, si parte alla volta di Bologna, facciamo un giro per l'anello interno in cerca di un parcheggio.... follia pura. Allora stizzito prendo per la periferia e, dopo alcune peripezie in un traffico stracaotico, esco dalla città e mi dirigo verso Budrio. Ci siamo già stati e ci era piaciuto, come paesino, ma la cosa migliore è la strada per arrivarci.
Strada costeggiata da ville, borghi e casotti di una volta da far venire voglia di abbandonare tutto e di ritirarsi là in meditazione. Arriviamo in paese. Deserto, come sempre del resto, qui per il weekend si usa starsene a casa propria.
Facciamo un piccolo giro per il paesino, in cerca di un posto dove accomodarci a mangiare.
Dal sito del Comune di Budrio. Buon divertimento.
BUDRIO
Budrio è un comune della seconda cintura metropolitana, confina a nord con il comune di Molinella, ad est con il comune di Medicina, a sud-ovest con il comune di Castenaso, a ovest con il comune di Granarolo, a sud con il comune di Ozzano, a nord-ovest con i comuni di Baricella e Minerbio.
E' attraversato dalle Strade Provinciali "San Vitale" e "Trasversale di Pianura", dalla linea ferroviaria Bologna-Portomaggiore gestita da F.E.R., della quale è prevista la prossima elettrificazione. Il territorio è servito anche da una rete di autobus.
Il capoluogo dista da Bologna 18 km, il centro storico è caratterizzato da portici che ne collegano le piazze e le principali vie. Nella campagna è possibile ancora oggi leggere con facilità gli elementi costitutivi dell'antica centuriazione romana.
I corsi d'acqua principali che attraversano il territorio budriese sono il torrente Idice ed i canali Fossano e Quaderna, i quali scorrono sul territorio pianeggiante costituito da terreno a medio impasto, argilloso e sabbioso.
Budrio è un paese che cura e mantiene vivo un rapporto intenso con le proprie tradizioni, pur essendo caratterizzato anche da un inconfutabile dinamismo economico e sociale e ha recentemente superato la soglia dei 16.000 abitanti.
Paese dell'ocarina (il flauto di terracotta inventato qui 150 anni fa dal musicista Giuseppe Donati), dei cultori della lingua dialettale (il Comune organizza numerosi corsi all'anno dedicati al recupero del dialetto locale ed indirizzati sia agli adulti che ai bambini), ma anche una realtà che ospita strutture all'avanguardia nella ricerca tecnologica, come il Centro protesico dell'INAIL, conosciuto a livello internazionale, che ospita il progetto "Starter", un laboratorio di ricerca e trasferimento delle più recenti conoscenze nel campo della
riabilitazione e della protesica.
L'imprenditoria locale è attiva e qualificata, con una significativa presenza di produzioni agricole specializzate e di qualità (esempio la patata dop), con punte estremamente valide nel settore della meccanica e del commercio. Sul territorio insistono circa 1.800 unità locali di impresa, uno standard in linea con quello della regione Emilia-Romagna, che vede la presenza di una impresa ogni 9/10 abitanti.
Ad ulteriore sostegno dello sviluppo delle attività economiche è stata realizzata una nuova area produttiva di 100.000 metri quadrati nella zona industriale di Cento.
Budrio si connota anche per l'interessante offerta di una serie rilevante di servizi su scala sovracomunale.
Tra i servizi pubblici l'Ospedale, che è in fase di ampliamento sia nelle dimensioni che nella qualificazione delle prestazioni, rappresenta l'aspetto più rilevante, seguito da un'importante rete di strutture scolastiche (dalla scuola per l'infanzia alle superiori) e da un Teatro consorziale con una programmazione molto vivace e di interesse per spettatori provenienti dall'intero bacino bolognese.
Nel centro storico sono attivi e funzionanti ben tre Musei (quello Civico Archeologico, dell'Ocarina e strumenti di terracotta e dei Burattini) ed una ricca Pinacoteca che ospita opere che vanno dal tardo Medio Evo al settecento, prevalentemente emiliano-romagnole.
I cittadini budriesi hanno un'attitudine molto sviluppata alla collaborazione reciproca, che si traduce nell'esistenza di una miriade di associazioni sia culturali (per il canto lirico, per il teatro) che sociali (per la pace, per le famiglie, per i bambini) oltre che parrocchiali. Associazioni di cittadini gestiscono anche alcune aree verdi pubbliche, curano il territorio o collaborano per vigilare davanti alle scuole durante gli orari di entrata ed uscita dei ragazzi. A proposito di tutela del patrimonio storico ed architettonico, sono stati realizzati o in previsione importanti interventi, quali il recupero e valorizzazione del Municipio, dei Torrioni e delle Mura di cinta, del Carico dell'acqua, del Teatro, dell'Auditorium.
Il territorio del Comune di Budrio si estende a nord-est della pianura bolognese; di origine alluvionale, in parte di antica strutturazione ed in parte di recente bonifica, è attraversato dal fiume Idice e un'antica rete di canali e fossi.
La vocazione naturale di questo territorio, sin dai tempi più remoti, è quella del terreno boschivo, popolato da una grande varietà faunistica. Così è stato fino all'arrivo dei romani, che attuarono il programma agricolo detto centuriazione, gettando così le basi per quella caratteristica tipologia di appoderamento agrario a maglie ortogonali scandite dai filari di vigna maritata detti piantate; sopravvissuto per duemila anni, fino agli anni �60.
La frazione di Bagnarola costituisce uno dei più alti esempi di equilibrio tra diversi periodi storici nella sovrapposizione delle ville di campagna di periodo rinascimentale e barocco sulla centuriazione stessa, completate dai particolari giardini-campagna alla bolognese.
La produzione agricola per secoli ha costituito il volano economico di Budrio. Dal XV alla prima metà del XX secolo Budrio divenne famoso soprattutto per la coltivazione della canapa da cui si otteneva una fibra di grande qualità , destinata all'industria tessile. La coltivazione della canapa permise, sin dalla sua introduzione, la rotazione continua delle colture mentre la necessità di operare la prima trasformazione arricchirono il territorio di numerosi maceri.
Durante il ventennio fascista, con la costituzione del monopolio di stato sulla canapa, lentamente ma inesorabilmente questo tipo di coltivazione, perdendo potere contrattuale, cominciò a declinare fino a scomparire. Il monopolio si estinse poi nel 1972.
Da qualche anno si tenta, a livello sperimentale, la reintroduzione di questo tipo di coltura, sull'esempio di Francia e Germania, che hanno avviato filiere per la lavorazione; non solo per il comparto tessile ma anche edilizio, cartaceo, sanitario e quello della cosmesi.
Nell'ultimo secolo il territorio ha subito una profonda trasformazione, sia ambientale che agricola. Il completamento della grande bonifica a nord, l'introduzione di nuove colture ed infine la meccanizzazione dei lavori agricoli, i nuovi sistemi di drenaggio idrico hanno modificato il paesaggio agrario originario: l'accorpamento degli antichi campi ha determinato l'eliminazione di innumerevoli fossi, delle tipiche piantate, degli antichi filari, delle alte siepi.
L'attuale panorama agricolo vede la coltivazione di grano, orzo, bietole, cipolle e patate; in particolare, quella arricchita di selenio (patata DOP) che qui ha avuto origine.
L'OCARINA
L'ocarina di Budrio è uno strumento musicale popolare a fiato, appartenente alla famiglia dei flauti, ed è appunto un flauto globulare di terracotta a forma ovoidale allungata, proprio come una piccola oca senza testa, con un'imboccatura a lato, e nel corpo praticati vari fori che, scoperti gradualmente mentre contemporaneamente si soffia nell'imboccatura, danno l'estensione fino all'undicesima. Oltre alla diatonica è possibile, mediante una digitazione composta, eseguire anche la scala cromatica. Il timbro varia con la dimensione, da molto squillante e penetrante nella più piccola, a più scuro e rotondo nella più grande.
Il primo costruttore di ocarine fu lo stesso inventore Giuseppe Donati, che si formò un apposito laboratorio, prima a Budrio, poi a Bologna, infine a Milano.
Nel 1870 cominciarono a fabbricare ocarine a Parigi due budriesi, già membri del complesso ocarinistico locale, Ercole ed Alberto Mezzetti, che poi si separarono, ed Alberto aprì un proprio laboratorio a Londra.
Nel 1878 a Budrio, quando Giuseppe Donati era già emigrato a Bologna, cominciò Cesare Vicinelli a fabbricare ocarine nel luogo detto "Fornace Silvani". Figlio di un fornaciaio ed anche lui fornaciaio esperto, inoltre buon conoscitore della musica e suonatore, oltre che dell'ocarina, della chitarra, del trombone e del bombardino, fece ocarine che incontrarono subito molto favore, per le qualità sonore, l'intonazione e l'estetica; ideò pure degli appositi stampi, sì che riuscì a produrre ocarine in quantità molto superiore a quella prodotta dal Donati stesso. Cesare Vicinelli, quando muore, nel marzo del 1920, lascia il suo laboratorio e la sua casa, con tutto l'arredamento e tutti gli attrezzi, a Guido Chiesa, che già da ventiquattro anni l'aiutava, dietro saltuari compensi.
Guido Chiesa , nato nel 1884, aveva allora già trentasei anni, e fino ad allora era vissuto prevalentemente lavorando coi propri genitori, che facevano gli ortolani. Dal Vicinelli che lavorava circondato di segreti, non aveva imparato molto; ma coi suoi strumenti, ingegno e notevole istinto musicale riuscì a conservare il buon nome del laboratorio budriese. Ha fabbricato in media dalle venti alle trenta ocarine al giorno, spedite poi un po' in tutte le parti del mondo.
Contemporaneo di Chiesa è un altro budriese: Emilio Cesari. Conoscitore della musica e valente suonatore di corno, il Cesari aveva lavorato nel laboratorio di Cesare Vicinelli quand'era ancora allievo del Conservatorio di Bologna, ed aveva poi attrezzato un laboratorio proprio, in località Creti di Budrio, ove aveva fabbricato ocarine dal 1920 al 1927, anno nel quale era emigrato a Bologna. Dal 1925 al 1927 aveva anche diretto il
gruppo ocarinistico budriese, da lui stesso riorganizzato, ed era divenuto così anche un abile ocarinista, ma dopo d'allora non si esibì più in pubblico con quello strumento, se non in trattenimenti di carattere famigliare. Trasferitosi poi a S. Remo, come suonatore dell'orchestra del Casinò di quella città , ivi nel 1940 circa aveva ripreso anche la sua attività di fabbricante d'ocarine, nella quale doveva presto acquistare una certa rinomanza sia in Italia che all'estero.
Altro costruttore budriese è stato Arrigo Mignani, entrato a far parte del concerto delle ocarine di budrio nel 1963, egli si interessò alla costruzione di questo strumento. Contattò il Chiesa proponendogli di rilevarne l'attività e chiedendogli di insegnargli a produrre le ocarine. Chiesa pretendeva per la cessione dell'attività la cifra di venti milioni, una somma ritenuta esorbitante da Mignani che proprio in quegli anni aveva comperato una casetta per la cifra di tre milioni. Egli riuscì a mettersi in contatto con gli eredi di Emilio Cesari che gli cedettero per un milione l'attrezzatura, ormai inutilizzata, del costruttore sanremese. Nel 1964 Mignani potè presentare il suo primo concerto di ocarine completo e continuò così la tradizione budriese per per ben ventotto anni.
BREVE STORIA DI BUDRIO
Budrio ha antiche origini umbre, come attesta anche il suo antico nome, Butrium (burrone) di origine prelatina. Reperti archeologici, conservati nel Museo Archeologico Paleoambientale, mostrano l'avvicendarsi di vari popoli in questa zona, dagli Umbri (civiltà Villanoviana), agli Etruschi, ai Galli, fino ai Romani, che hanno lasciato segni evidenti nella geometrica divisione dei campi (centuriazione agraria) e nel tessuto urbano del centro storico, in cui le vie si intersecano ad angolo retto. In seguito anche Goti, Longobardi, Franchi, Ungari passarono per queste terre.
Nel periodo di rinascita economica dopo il Mille, gli uomini di Budrio si unirono in un Consorzio o Partecipanza di beni agrari, dati loro in proprietà perché li rendessero produttivi, a vantaggio di tutta la comunità . Si fa risalire a Matilde di Canossa la donazione del vasto territorio (“la Boscosa”) che permise l'istituzione della Partecipanza, che per vari secoli fu un tutto unico con il Comune e fonte di prosperità .
Venne soppressa nel 1931.
Sul finire del Trecento, il castello di Budrio, più volte attraversato da soldatesche e rovinato, fu ricostruito dal governatore di Bologna, cardinale Albornoz, assumendo la forma quadrata con i torrioni agli angoli, forma che nel secolo seguente divenne rettangolare, essendovi incluso il Borgo sorto ad est.
Nel 1388 i budriesi ottennero la cittadinanza bolognese, che in un primo tempo portò benefici economici. Nel 1500, dopo le traversie dell'inizio secolo (saccheggio ad opera di Cesare Borgia, devastazioni, carestie e pestilenze), ci fu un rifiorire della vita economica, grazie alla ricchezza apportata dalla coltivazione, lavorazione e commercio della canapa, esportata, con ottimi guadagni, in vari paesi, fra cui la Repubblica di Venezia e l'Inghilterra.La comunità di Budrio, che nel 1531 si era divisa in due: Budrio Dentro (il centro) e Budrio Fuori (la campagna), ciascuna con compiti specifici, ma unite nelle questioni generali, godette di un periodo di pace e benessere, come testimonia il fervore edilizio di quegli anni. Le numerose Confraternite costruirono chiese e ospedali.
Importante anche la fondazione, nel 1556, di una scuola pubblica, fra le prime del territorio bolognese, dove si insegnava a leggere, scrivere, “far di conto”, e Latino. Le lotte civili fra nobili famiglie, iniziate alla fine del Cinquecento, si protrassero per tutto il secolo seguente, che vide anche una terribile peste (1630) e una carestia (1648).
Alla fine del Â?700 anche Budrio passa sotto l'amministrazione napoleonica, che abolisce il suo “Monte di Pietà ”, fondato nel 1531, mentre i beni della Partecipanza vengono incorporati nel Municipio appena istituito.
Con la Restaurazione, Budrio torna a far parte della Legazione di Bologna; sotto il governo pontificio, diventa sede di Governatorato, e il Papa Gregorio XVI le restituisce i beni della Partecipanza.
Le idee risorgimentali di libertà e indipendenza della patria ebbero entusiasti seguaci a Budrio: nel 1848 i budriesi del “Battaglione Idice”, al comando di Luigi Cocchi, si distinguono in vari combattimenti per l'unità d'Italia; non pochi volontari budriesi vanno ad ingrossare le file dei garibaldini, mentre si afferma la singolare figura di Quirico Filopanti (Giuseppe Barilli), patriota, politico, amministratore civico, docente universitario, segretario della Costituente nella Repubblica Romana del 1849, scienziato e astronomo (fondamentale il suo
contributo all'ideazione dei fusi orari).
A Budrio, divenuta nel 1860 Municipio del Regno d'Italia, sorgono le prime associazioni popolari (la “Società operaia di Mutuo Soccorso”, la "Società budriese" e l'”Associazione fra gli operai braccianti del Mandamento di Budrio” o “Cooperativa”).
Fra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento si ebbe una decisa ripresa dell'edilizia nel centro urbano, ma soprattutto, seguendo l'infelice esempio di Bologna, si abbatté una cospicua parte delle mura. Di questo stesso periodo vanno ricordati i lavori di bonifica; la costruzione della ferrovia che unisce Budrio a Bologna, Massalombarda, Molinella, Portomaggiore, e dell'Asilo Comunale Infantile “A. Menarini”. Fra la prima e la seconda guerra mondiale, Budrio visse le stesse drammatiche esperienze di tutta Italia: dai 370 budriesi caduti nella Grande Guerra ai tragici episodi durante l'occupazione nazista, alla partecipazione alla lotta di liberazione, il cui episodio più notevole fu la battaglia di Vigorso (21 ottobre 1944), dove trovarono la morte 36 partigiani e 8 civili.
La ripresa del secondo dopoguerra riportò il paese alla prosperità economica e sociale, al rinascere delle istituzioni democratiche e ad una operosa partecipazione dei cittadini alla gestione del Comune.
I MONUMENTI
Torrioni e mura
Testimonianza della ricostruzione di Budrio voluta dal cardinale Albornoz nel secolo XIV in forma di castello, sono i due Torrioni di nord-ovest e di sud-ovest, a pianta trapezoidale, edificati nel 1376, recentemente restaurati insieme all'unico tratto superstite delle mura trecentesche (presso Piazza Matteotti). I Torrioni di nord-est e di sud-est, invece, furono eretti nel secolo seguente, nell'allargamento della cinta muraria, che comprese nel Castello il Borgo. Essi delimitano il lungo tratto di mura “nuove” (via Verdi), completate nel 1506, che sopravvissero alla grande demolizione del 1911. Sono a pianta circolare; più elegante quello di sud-est, con una merlatura coperta da un tetto. Di entrambi, come pure delle mura, è imminente il restauro.
Palazzo Comunale
Il Palazzo Comunale, “Palazzo Torre”, sede del Municipio, risale al secolo XIV, quando sorse il primo edificio del complesso: la Torre detta ora dell'Orologio, anticamente della Guardia, poiché tale era la sua funzione.
Derivata dalla ricostruzione del paese operata dal cardinale Albornoz dal 1363 al 1379, era la più importante fortificazione del paese. E tale rimase fino al 1870-71, quando fu abbassata e del tutto ristrutturata, con l'aggiunta anche di una corona di merli ghibellini, “con il disegno e l'opera gratuita” dell'ingegnere budriese Luigi Menarini, come attestano, sull'arco del voltone, le due epigrafi dettate da Giosue Carducci.
Presso la Torre della Guardia, circa a metà del secolo XV, venne costruito un vasto fabbricato, proprietà dapprima dei signori Manzoli, poi della ricca e illustre famiglia budriese dei Benni, i quali, nel 1678, lo cedettero alle Suore Serve di Maria, che ne fecero il loro convento. Il palazzo passò poi, con i beni delle Confraternite religiose e delle Opere Pie budriesi, alla “Congregazione di Carità ” e da questa fu venduto nel 1877 al Comune, che voleva trasformarlo nella sua sede ufficiale. Nel 1879 ebbero inizio i lavori di restauro ( o meglio di totale rifacimento), diretti sempre da Luigi Menarini, che, in omaggio ai dettami della moda artistica in voga, adotta per la facciata lo stesso stile neogotico usato per la Torre. Dell'antico prospetto furono mantenuti soltanto, insieme all'impostazione di base, le cornici di alcune finestre del primo piano e due piatti ornamentali di ceramica faentina ritrovati nello smantellamento dell'ultimo piano e collocati in alto sulla facciata (il secondo e il quarto per chi guarda); gli altri quattro, frantumati e irrecuperabili, furono sostituiti con fedeli copie eseguite a Faenza. Anche il Palazzo fu ornato di merli ghibellini e unito alla Torre, costituendo un complesso omogeneo ed equilibrato. Sulla facciata, su cui vennero poste nel 1889 epigrafi commemorative e medaglioni dedicati a Garibaldi e a Mazzini, furono murate le lapidi in arenaria dei secoli XV e XVI, con gli stemmi di commissari inviati a Budrio in quei tempi dal governo bolognese per amministrare la giustizia.
Finiti i lavori esterni, il Palazzo Comunale fu inaugurato il 21 agosto del 1881 con una grande festa e molti discorsi di illustri oratori, fra cui Filopanti.
Si passò quindi alla sistemazione interna degli uffici, in particolare della sala del Consiglio.
Il progetto dell'ornamentazione dell'ambiente (i cui lavori terminarono nel 1885) fu di Alfonso Rubbiani, noto progettista di restauri, che in quegli anni partecipava attivamente alla vita di Budrio, essendo consigliere comunale (1879-1889), più volte assessore e vicesindaco. Tutti gli arredi lignei furono eseguiti su disegni suoi; suoi pure i disegni delle elegantissime cancellate divisorie in ferro battuto, le vetrate e la composizione delle quattro suggestive epigrafi dipinte sulle pareti, rievocanti la storia di Budrio. La restante decorazione fu opera del pittore Achille Casanova, che dipinse gli stemmi delle frazioni e del Comune ai lati delle epigrafi, usando come sfondo floreale il motivo degli steli della canapa, la pianta che fu per gran tempo vanto e ricchezza dell'agricoltura budriese.
Sulla porta di ingresso della sala, nel 1895, fu posto il busto di Quirico Filopanti, morto l'anno prima.
Nel 1906 fu completato l'elegante scalone d'accesso, a capo del quale un leone marmoreo poggiato sul capitello di una colonnetta ottagonale, regge lo stemma di Budrio, opera dello scultore budriese Arturo Orsoni.
Nel 1911 un altro artista budriese, Giovanni Venturoli, decorò in un arioso stile liberty l'atrio e le pareti laterali dello scalone, alternando massime latine sul buon governo agli stemmi delle frazioni.
Nell'atrio trova oggi la sua collocazione anche il congegno meccanico, restaurato nel 1999, con i suoi pesi e la sua splendida pendola, che ha fatto funzionare l'orologio della Torre fino a che i moderni meccanismi al quarzo non l'hanno sostituito. Costruito da Antonio Clodoveo Franchini nel 1871, secondo tecniche secentesche, entrò in funzione nello stesso anno, nella Torre appena restaurata dal Menarini.
A completare poi l'opera di ricupero totale del Palazzo Comunale, sulla cima della Torre svetta nuovamente l'antico leoncino che fungeva da banderuola, ricuperato e restaurato nel 1998: frutto di una tecnica manuale ed artigianale antica, come evidenziano le linee rotondeggianti della testa dell'animale, rappresenta più un cucciolo che non il leone adulto e superbo dello stemma e del Gonfalone del Comune.
Oggi, negli uffici e nei corridoi dei vari piani si possono ammirare opere di artisti locali ed internazionali, donati al Comune dopo esposizioni, che formano una vera e propria galleria di arte moderna offerta gratuitamente e sempre fruibile dai cittadini.
Davanti al Palazzo Comunale si apre la piazza (già Piazza Maggiore) intitolata a Quirico Filopanti nel 1895. Al centro campeggia il monumento in bronzo, sempre a lui dedicato, opera dello scultore Tullo Golfarelli, eretto nel 1913.
Scuole elementari
L'edificio, situato in viale Muratori, fu iniziato tra il 1903 e il 1904 su progetto dell'ingegner Attilio Evangelisti e portato a termine nel 1908. Splendido esempio di architettura liberty, è ornato da un suggestivo fregio a colori che abbraccia la costruzione con due fasce: una sulla metà delle pareti, con la rappresentazione di ninfee, l'altra presso il tetto, con un intreccio di luminosi fiori e frutti di melograno. Ne fu autore Alfredo Tartarini, fra i principali esponenti della corrente liberty a Bologna. Alla realizzazione del fregio, che si protrasse dal 1905 al 1908 sotto la guida del pittore bolognese Achille Casanova, partecipò anche l'ornatista budriese Oreste Arturo Dal Buono. Nel 1999 il Palazzo è tornato all'originario splendore grazie al restauro, voluto dai cittadini e dall'Amministrazione Comunale e inserito nel Progetto europeo Freu, per la salvaguardia del liberty.
Nel maggio 2005 le Scuole Elementari sono state intitolate alla professoressa Fedora Servetti Donati, studiosa di storia locale e autrice di importanti opere storiche sul territorio budriese.
PALAZZI
Palazzo Medosi Fracassati, in via Marconi, risale al Seicento e fu dimora della famiglia omonima. Sul finire di quel secolo ospitò un “Teatro delle commedie”, mentre oggi, a pianterreno, vi ha sede una elegante sala per esposizioni.
Palazzo Gandolfi (oggi Chiusoli), in via Bissolati. Il suo aspetto odierno risale al 1830, quando furono riuniti dei fabbricati del Sei-Settecento. La facciata a sud è ornata da un elegante timpano. Sull'angolo nord-ovest, si erge una torre settecentesca che domina il cortile cinto di mura, formando, con la casa adiacente, un complesso caratteristico chiamato popolarmente “Corte del muto”.
Palazzo Tubertini, in via Partengo (circonvallazione). Villa con un'elegante facciata settecentesca ed una loggia a tre arcate a cui si accede da una doppia scalinata. L'interno è stato frazionato in appartamenti.
Palazzo Guidotti (oggi ristorante “Giardino), in via Gramsci, risale al XVI secolo. La facciata e l'interno conservano quasi intatte la forma e le decorazioni aggiunte dai restauri del Settecento.
Palazzo Boriani Dalla Noce, oggi sede della Biblioteca “Augusto Majani”, è il più imponente e signorile edificio di Budrio: già nel settecento si presentava articolato in più parti, con due cortili comunicanti per mezzo di un grande arco per fare passare le carrozze. Forma un isolato fra le vie Garibaldi, XX Settembre e Collo d'oca. L'interno ha pregevoli affreschi alle pareti e sul soffitto.
CHIESE
Chiesa di San Lorenzo
Prospiciente Piazza Filopanti, di fronte al Palazzo Comunale, è la chiesa parrocchiale di Budrio. Non se ne conosce la data di costruzione e neppure la struttura e l'orientamento originario, ma viene nominata già in un documento del 1146. Ampliata a partire dal �300, nel �400, dopo che la Comunità l'aveva affidata ai frati Servi di Maria (1406), venne arricchita del fonte battesimale e, nella seconda metà del secolo, del bel chiostro a doppio colonnato adiacente alla chiesa. Fu completata nel �600 con la costruzione della cupola della cappella maggiore (1608-1612), eretta per unire al corpo della chiesa il coro, edificato alcuni anni prima. Un secolo dopo, l'architetto budriese Alfonso Torreggiani ne operò un grande restauro, progettando anche il portico esterno. Alla fine del secolo XVIII, Giuseppe Tubertini, anch'egli budriese, ne ampliò l'interno, aggiungendo il transetto. Questi ultimi lavori furono compiuti con sovvenzioni da parte di tutti i parrocchiani, a cui si aggiunse, come si legge su una lapide all'interno della chiesa presso la porta maggiore, una fortunata vincita al lotto.
Nel Capitolo, che è la parte più antica, si possono ammirare le statue di San Sebastiano e San Lorenzo, patroni del paese, attribuite a Filippo Scandellari (1717-1810) ed un affresco di autore ignoto. La cappella del fonte battesimale fu affrescata dal budriese Faustino Trebbi (1761-1836). La navata centrale, con quattro cappelle per lato, termina con un grande arco sorretto da capitelli corinzi di Gian Battista Canepa, che immette nel presbiterio, a finta croce greca. La cappella maggiore e le laterali sono ornate di affreschi e tele di pregevoli pittori, fra cui Gaetano Gandolfi (1734-1802), Giovanni Andrea Donducci (1575-1655), detto il Mastelletta,
Pietro Fancelli (1764-1850) e allievi della scuola di Ludovico Carracci. Interessante anche il pulpito ligneo, scolpito da un “maestro Giulio da Budrio”, collocato nella chiesa nel 1578, e la scultura policroma della Madonna Addolorata, sempre di Filippo Scandellari.La chiesa è dotata di un organo della metà dell'Ottocento che, recentemente restaurato, partecipa ogni anno
alla Rassegna organi antichi, organizzata dalla Provincia di Bologna, con importanti esecutori internazionali.
Santa Maria del Borgo
L'ingresso della chiesa si apre sotto il voltone del Palazzo Comunale. Iniziata nel 1517 per volere della “Compagnia del Borgo” (o del Santissimo Crocefisso), fu terminata solo un secolo dopo. L'interno è a pianta rettangolare con una sola navata coperta da una volta a botte e tre cappelle laterali. Nella cappella maggiore si trova un Crocifisso cinquecentesco in una preziosa custodia costruita dal bolognese Pietro Roppa (secolo XVIII) e pregevoli dipinti adornano le altre cappelle: La fuga in Egitto (1620) di Giovanni Andrea Donducci, detto il Mastelletta, il Martirio di Santo Stefano di Pietro Faccini (1562-1602), la Natività della Vergine di Bartolomeo Cesi (1556-1629). Nel 1910 lo scultore budriese Arturo Orsoni restaurò l'interno della chiesa e adornò la porta principale con una elegante cornice in cotto.
Sant'Agata
L'ingresso della chiesa si apre sotto il voltone del Palazzo Comunale. Iniziata nel 1517 per volere della “Compagnia del Borgo” (o del Santissimo Crocefisso), fu terminata solo un secolo dopo. L'interno è a pianta rettangolare con una sola navata coperta da una volta a botte e tre cappelle laterali. Nella cappella maggiore si trova un Crocifisso cinquecentesco in una preziosa custodia costruita dal bolognese Pietro Roppa (secolo XVIII) e pregevoli dipinti adornano le altre cappelle: La fuga in Egitto (1620) di Giovanni Andrea Donducci, detto il Mastelletta, il Martirio di Santo Stefano di Pietro Faccini (1562-1602), la Natività della Vergine di Bartolomeo Cesi (1556-1629). Nel 1910 lo scultore budriese Arturo Orsoni restaurò l'interno della chiesa e adornò la porta principale con una elegante cornice in cotto.
San Domenico
La chiesa di San Domenico del Rosario, che si affaccia sulla piazza Antonio da Budrio, fu eretta nel 1605 dalla “Confraternita del SS. Rosario”. Nel 1615 fu affidata ai frati domenicani - per i quali erano stati fabbricati alcuni locali adiacenti ad uso di convento Â? che vi rimasero fino all'epoca napoleonica, quando il convento e la confraternita vennero soppressi. Oggi l'ex-convento è sede della Casa protetta per anziani. L'edificio sacro ha davanti uno spazioso portico a tre arcate dell'ultimo decennio del XVII secolo. Sulla parete di fondo, in quattro nicchie, vi sono le statue di San Domenico, San Tommaso, Santa Rosa e Santa Caterina, mentre, al centro, un altorilievo raffigura l'Assunta: opere anonime, databili tra il XVII e XVIII secolo.
All'interno, costituito da una navata centrale e quattro cappelle per lato, separate da pilastri con ricchi capitelli corinzi, troviamo importanti opere pittoriche: la grande pala dei Misteri del Rosario e l'Assunta, del bolognese Alessandro Tiarini (1577-1688); il San Giovanni Battista e San Pietro Martire di Francesco Albani (1578-1660); il San Vincenzo Ferreri di Ubaldo Gandolfi (1728-1781), e la Santa Rosa da Lima, del budriese Gian Battista Caccioli (1623-1675).
Santa Maria delle Creti
A sud-est, a poca distanza dal paese, nell'antico sobborgo chiamato dal Cinquecento fino a metà dell'Ottocento “Le Crete”, per l'abbondanza di creta ottima per mattoni e tegole, sorge la chiesa di S. Maria, con a lato il campanile a pianta quadrata. La facciata, sormontata da un timpano triangolare, è arricchita da uno spazioso portico a tre arcate. L'interno, nel semplice ed elegante equilibrio della sua impostazione architettonica, rappresenta un bell'esempio di barocco del primo Seicento. L'edificio, iniziato nel 1634 per volontà dei padri Serviti di S. Lorenzo, era terminato nel 1638, con tutti i suoi splendidi ornamenti, fra cui la pala d'altare della cappella maggiore di Francesco Albani, raffigurante la Santissima Trinità e angeli musicanti (1634-35); l'Adorazione dei Magi di Prospero Fontana; un pregevole crocefisso del tardo Seicento, e la statua in cartapesta raffigurante S. Antonio da Padova di Giacomo de Maria, statua un tempo veneratissima. La chiesa, molto frequentata fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, nel 1993, per il grave stato di degrado, è stata dichiarata dalla Curia bolognese “non adibita al culto” e tutti i preziosi arredi sono stati trasferiti presso il convento dei Servi di Maria in Budrio. Oggi, con il grande sviluppo edilizio della zona, si ha ragione di sperare in un prossimo restauro dell'edificio ed in una sua riapertura.
Madonna delle Grazie, detta dell'Olmo
Il Santuario, dipendente dalla Parrocchia di Budrio, meta nei secoli passati di numerosi pellegrinaggi da tutta la campagna budriese, ancor oggi è centro di devozione e conserva una immagine della Beata Vergine, pregevole cartapesta policroma cinquecentesca, incorniciata da una ricca fioriera, che ogni anno a maggio, viene portata in pellegrinaggio nella chiesa parrocchiale di S. Lorenzo e in processione per le vie del centro storico, tradizione che risale al secolo XVII. A tre chilometri ad est di Budrio, l'edificio fu innalzato negli ultimi decenni del Cinquecento (1589-1596) sulla via Olmo, antica strada che prese il nome dall'albero dove era appesa l'immagine miracolosa della Madonna, a cui, vista l'affluenza di tanti fedeli, fu dedicata prima una cappella, poi la chiesa vera e propria, fatta costruire dai proprietari del fondo. E' un “santuario di campagna”, con una struttura molto semplice, a pianta quadrata con una sola navata e tre cappelle, in cui sono notevoli i grandi tabernacoli in noce scolpiti, della metà del Seicento. Restaurata sapientemente nel 1970, al centro del pavimento rinnovato ha una lapide che ricorda il punto in cui sorgeva l'olmo “l'anno 1589”.
Proseguendo per la via Olmo, svoltando alla Guardata, a sette chilometri da Budrio, la chiesa di San Salvatore, sulla omonima via, segna il confine con il comune di Medicina. Ha una facciata settecentesca molto semplice, mentre l'interno presenta una decorazione più ricca, dovuta ai ripetuti restauri operati nel Settecento dai patroni, i signori Guidotti, nobili bolognesi che avevano fondato la chiesa originaria. Fra le opere più pregevoli annoverava una grande tela del pittore Giuseppe Maria Crespi, Gesù Salvatore che ascende al cielo, ora egregiamente restaurata ed esposta nella chiesa parrocchiale di S. Lorenzo a Budrio.
La Pieve dei Santi Gervasio e Protasio
La Pieve dei Santi Gervasio e Protasio, chiesa parrocchiale, sorge ad un chilometro circa ad ovest del centro budriese ed è la prima chiesa del territorio e fra le più antiche della diocesi bolognese. Testimonianza della sua antica origine sono un gruppo di epigrafi, romane e longobarde, dei secoli V-VIII, ora murate sotto il portico dell'edificio sacro; e la "chiesa sommersa", attribuibile al secoloVIII-IX d.C., che si trova sotto il pavimento dell'attuale edificio: è a tre navate, che terminano in tre absidi semicircolari( foto Bonaga: Cripta sotterranei). Scoperta nel 1700, oggi, ricolma di fango, è accessibile solo nella parte absidale. Anche il campanile romanico, adiacente, potrebbe risalire anche a prima dell'XI secolo. L'attuale forma architettonica dell'esterno risale al secolo XVIII, quando venne costruita l'elegante facciata ed eretto un nuovo portico.
L'interno presenta tre navate: la centrale, coperta da volta a botte, risalente al XVII secolo; le laterali, con quattro cappelle per lato, furono aggiunte nei restauri del 1810. Nella prima cappella di sinistra si trova la preziosa croce di marmo bianco, di epoca carolingia (828 d. C.) con accanto l'antico fonte battesimale ricavato da un capitello di epoca tardo-romana. Nelle altre cappelle opere pittoriche di Iacopo Alessandro Calvi, detto il Sordino(1740-1815); di Giuseppe Marchesi, detto il Sansone( 1727); di Ubaldo Gandolfi (1727-1781) e di pittori della scuola bolognese del Reni e dell'Albani.
Nella terza cappella di sinistra c'è un'opera contemporanea, la pala d'altare dedicata a S. Clelia, realizzata dal budriese Dante Mazza nel 1991.
TEATRO
Teatro Consorziale
Secondo il cronista Domenico Maria Baldassarri, padre servita, che tra il 1663 e il 1690 redasse le Mernone antiche di Budrio, la gioventù budriese era quasi tutta, per un'innata inclinazione, dedita al recitar nei teatri.
Dovette perciò essere questo il motivo principale che spinse due privati cittadini, nella seconda metà del Seicento, ad erigere un teatro nelle loro rispettive abitazioni. Uno era il Teatro da Commedie per la gioventù, fatto costruire da Giambatista Fracassati (dotto religioso morto nel 1690), di cui assai presto si perdono le tracce. L'altro teatro, fatto costruire da Paolo Sgarzi nel 1672, nel suo palazzo sito in “via Longa di S.Domenico”, è giunto fino ai giorni nostri; ricostruito negli anni Venti è l'odierno Consorziale. L'odierna facciata principale (su via Garibaldi) è rimasta inalterata (escludendo la rettifica degli archi sopra agli accessi), a testimonianza dell'antica origine di teatro privato, interno ad un'abitazione borghese (casa Sgargi). Nacque quindi come teatro privato, usanza diffusa in quel tempo, ma fin dalle origini fu aperto gratuitamente anche al pubblico per rappresentazioni, feste da ballo e accademie.
Da Paolo il teatro passò al di lui figlio Giambattista, colto studioso di belle lettere e accademico Intrepido; da questi alle nipoti nel 1724. Le sorelle Sgarzi (o Sgargi) nel 1735 vendettero il teatro, al prezzo di £. 800 a Giuseppe Maria Boriani, notaio assai benestante. In quell'anno furono redatte alcune perizie fatte da mastri muratori locali, che verificarono lo stato dell'edificio. Costoro rilevarono come da molti anni il teatro fosse inutilizzato e in uno stato assai rovinoso. Nel 1793 Giuseppe Maria Boriani junior morendo lasciò in ereditÃ
tutti i suoi averi, tra cui il teatro, all'Opera Pia Bianchi. Nell'inventario dei beni il teatro è valutato lire 2.200; risulta inoltre dotato di scenario consistente in diverse tele e rispettive «giunte» rappresentanti: sala, atrio e giardino (valutate in tutto 400 lire).
Sembra che nonostante il teatro fosse in effetti di proprietà privata, il pubblico potere esercitasse un forte controllo sugli spettacoli, volto in particolar modo ad ostacolare la presenza di compagnie comiche professioniste e a favorire le rappresentazioni delle compagnie del paese. Il teatro era sì considerato un'istituzione utile, ma non assicurava un sufficiente reddito. Sono quindi comprensibili le continue
oscillazioni dello stato di conservazione e conseguentemente del valore di mercato.
Ad esclusione di una notizia riportata nel foglio settimanale «Bologna», stampato da G.Monti, secondo cui il 16 ottobre 1696 fu rappresentata, del budriese Giuseppe Maria Cesari, «un'opera bellissima intitolata l'hicostanza costante, ove vi concorsero molte dame e cavalieri», nonché di un Sedecia ultimo re di Giuda del Granelli che sarebbe stato rappresentato nel carnevale 1742; nulla sappiamo di certo dell'attività svolta nel teatro in quel periodo. Benché svariati indizi lasciano supporre che la struttura funzionasse. Tra questi, l'esistenza di uno scenario, come abbiamo visto, nonché di un bando «sopra il rispetto dovuto ne' teatri», datato 13 gennaio 1787, conservato presso l'Archivio Comunale di Budrio. Ad operare nel teatro furono
certamente i dilettanti di comica del paese. Pare inoltre che Faustino Trebbi vi abbia prestato gratis la sua opera di pittore-scenografo. Quasi certamente vi furono date le opere del capitano e membro del Consiglio della Comunità Domenico Inzaghi (1737-1824), letterato per diletto, autore di un gran numero di tragedie e commedie, e collezionista d'arte. Il quale, dando alle stampe le sue opere nel 1806, afferma nella prefazione:
«Avevano è vero i miei drammi riportato in vari incontri il plauso degli ascoltanti».
Nel 1802 il teatro venne acquistato per la somma di £. 2000 dal Consorzio dei partecipanti o Partecipanza di Budrio, da cui trae il nome attuale di Teatro Consorziale. Come altri, analoghi organismi di proprietà fondiaria collettiva sorti nell'Emilia medioevale, anche la partecipanza di Budrio era verosibilmente nata in forza di una concessione (enfiteusi o donazione) di terreni periferici ad colendum, ad melioranduni, ad laborandum. La tradizione più diffusa, ma non suffragata da documenti d'archivio, attribuisce a Matilde di Canossa il merito di aver donato alla comunità di Budrio un vasto possedimento, ancora in gran parte selvoso e palustre, posto nelle pertinenze dell'abitato. Da quest'epoca in avanti la storia del Consorzio dei partecipanti si identifica con la storia della stessa comunità di Budrio. Fino all'Età napoleonica la Partecipanza formò un tutto unico con il Comune: le rendite fondiarie dovevano servire per le necessità comunali, e solo il rimanente era ripartito tra i partecipanti. Dal 1797 i due istituti sono di fatto separati, e tali rimarranno anche durante la Restaurazione e dopo l'Unificazione. Amministrato dai soli partecipanti sotto il controllo dell'autorità statuale (il legato pontificio prima, il prefetto poi), dopo anni di difficoltà economiche, di errori e ingiustizie, il Consorzio fu
sciolto con regio decreto nel 1931.I suoi beni, tra cui il Teatro Consorziale e la ricca Pinacoteca (donata da Domenico Inzaghi), passarono al Comune di Budrio, che ne è ancor oggi proprietario e gerente.
Da quando nel 1802 il teatro diviene proprietà della Partecipanza, le vicende che lo riguardano sono ben documentate presso l'Archivio Comunale. I Partecipanti affidano al capo-mastro muratore Vincenzo Boriani numerosi lavori di restauro e abbellimento del teatro. Esso probabilmente acquista in tale occasione quella sobria eleganza conservata fino all'ultima completa ristrutturazione. Viene rifatto e alzato il coperto del palcoscenico e della platea, quest'ultima con la volta a padiglione; sono costruiti i tre ordini di palchi sorretti da colonne doriche e i camerini.
Nel 1810 un tal Filippo Massarenti chiede alla Partecipanza il teatro gratis per cinque anni con la facoltà di subaffittarlo, impeguandosi a corredarlo di scenari: una reggia, un campidoglio, una strada ed una magnifica camera, che saranno dipinti dal budriese Francesco Cocchi entro il carnevale del 1811. Così in effetti dovette essere, poiché nel 1811 il Cocchi si trasferì a Roma. Nell'inventano, compilato nel 1815, degli effetti esistenti nel teatro, appare assai ricco il corredo di scena, tra cui figura appunto un campidoglio, un bosco, pezzi per un castello con torre e quinta di una camera non terminata. Un'altra consistente quota di opere di risistemazione della sala teatrale e del palcoscenico viene effettuata tra il 1837 e il 1838, inoltre si dà incarico al pittore budriese Luigi Sacchi di dipingere nuovi scenari: un villaggio, una piazza, un bosco e una reggia. In un inventano del 1839 sono menzionate anche tre macchine per fingere il tuono, la pioggia e il vento. Altri scenari ancora vengono fatti nel 1841 e nel 1855, questi ultimi dipinti da un tale Marini, segno evidente di una intensa attività . Sulle scene si alternano dilettanti budriesi, compagnie di giro e filodrammatiche bolognesi. Si recitano commedie, tragedie; si fanno accademie vocali e musicali e spettacoli di vario genere. Immancabili i veglioni di carnevale. Gli spettacoli si susseguono in modo più o meno regolare nell'arco dell'anno, con maggiore frequenza in carnevale e in occasione della fiera di S. Lorenzo. Durante la prima guerra mondiale il teatro fu concesso per alloggiarvi i militari e usato come deposito per i fiori di tiglio.
Dal 1920 fu adibito anche a sala cinematografica, inoltre vi si tennero comizi e adunanze (qui parlarono più volte Quirico Filopanti, Andrea Costa e Aurelio Saffi). Negli anni 1922-23 il teatro viene dichiarato inservibile, privato dell'impianto di illuminazione, arredi e scenari, e ne è vietata l'apertura. Pertanto si rende necessaria la ricostruzione del teatro, il Consiglio della Partecipanza delibera in tal senso nel marzo 1923. Nel giugno successivo viene pubblicato il concorso a tal fine bandito le cui norme sono dettate dall'ingeguer Lorenzo
Colliva. Risulterà vincitore il progetto redatto dal geometra Francesco Fabbri di Budrio e dall'architetto Fausto Fiumalbi di Bologna. Con i proventi ricavati soprattutto dalla vendita di una tenuta consorziale e altri beni immobili, nonché con la partecipazione dell'Amministrazione Comunale, è resa possibile la costruzione del nuovo e assai più ampio teatro. La sala realizzata - tra l'ottobre 1924 e il 1928 - ha pianta a campana, due ordini di gallerie rette da sottili pilastrini in ghisa, e una terza gradinata centrale affianca lateralmente da due balconate. Le sobrie decorazioni, policrome e dorate, di ispirazione neoclassica sono eseguite dal pittore Armando Aldrovandi. L'inaugurazione avviene il 6 ottobre 1928 con la Giocouda di A. Ponchielli.
Sciolta la Partecipanza, nel 1932 il teatro passa al Comune. Gli spettacoli continuano fino al 1940. Nel dopoguerra riprende la sua attività e contemporaneamente è oggetto di parziali interventi di riadattamento, quindi dal 1962 al 1985 è oggetto di numerose opere di manutenzione (ampliamento del palcoscenico,
inalzamento della torre scenica), infine nel 1986 si realizza un progetto di restauro e adeguamento normativo. Negli ultimi anni (2003) l'esterno dell'edificio è stato oggetto di un restauro conservativo, inoltre si sono apportate modifiche agli spazi interni dedicati all'ingresso, biglietteria e bar. Tali lavori si debbono completare con l'acquisizione di una parte dell'edificio adiacente, ex casa del custode, da destinare ad uffici e biglietteria.
Negli anni il Teatro Consorziale ha raggiunto e superato l'antica rinomanza; strumento valido di cultura, offre alla poplazione vasti e ricchi programmi: dalla prosa classica al teatro comico, dalla musica e all'operetta, dalle commedie dialettali alla rassegna di teatro per ragazzi. Un cartellone complesso che supera i confini di Budrio, paese di 16500 abitanti, per rivolgersi ad un pubblico più vasto, tenuto conto che la stessa Bologna dista appena una ventina di chilometri.
MUSEI
Museo civico Archeologico e Paleoambientale
* Via Mentana 32, Budrio
Orari di apertura - dal 1 ottobre al 10 giugno
* Tutte le domeniche dalle 15.30 alle 18.30
La prima domenica del mese dalle 10.30 alle 12.30 - dalle 15.30 alle 18.30
* Durata media della visita: 1 ora
* Book shop
Entrata libera - Visite didattiche e guidate su prenotazione, Tel. 051 6928306 - 051 6928279
Il museo è stato inaugurato nel 1982 con l'allestimento della sezione romana, a questa si sono aggiunte le sezioni dedicate all'Età del Bronzo, all'Età del Ferro e la sezione paleoambientale . I materiali esposti provengono da ricognizioni di superficie e scavi effettuati nel territorio di Budrio e Castenaso.
All'ingresso, un grande plastico riproduce il territorio circostante la città , dalle pendici collinari a Maddalena di Cazzano, e illustra, con l'ausilio di un video sincronizzato, il millenario rapporto creatosi tra uomo e ambiente, attraverso gli insediamenti e le attività economiche nel periodo che va dal Paleolitico all'Alto Medioevo.
Sono esposti: manufatti del Paleolitico inferiore in pietra scheggiata (lame e schegge di medie e grandi dimensioni, nuclei, choppers) risalenti a più di 800.000 anni fa, rinvenuti nel corso delle ricerche condotte nei depositi alluvionali circostanti l'Idice da Luigi Fantini, pioniere degli studi sulla preistoria in ambito bolognese; oggetti appartenuti agli antichi abitanti del territorio (pugnali, punte di freccia e di lancia) raccolti nel sito di Trebbo Sei Vie, importante insediamento dell'Età del Bronzo recente; strumenti da lavoro in bronzo, corno di cervo e osso, punteruoli, scalpelli, falcetti, beni di lusso come spilloni di bronzo, vasellame proveniente dagli insediamenti coevi di Castenaso e Villanova.
La sezione dedicata all'Età del ferro presenta le testimonianze degli insediamenti e della necropoli di Castenaso, con le ricche tombe a ossario che hanno restituito, accanto ai resti combusti dei defunti, il corredo di vasi e oggetti personali che dovevano rappresentare, dopo la morte, il rango avuto in vita dal proprietario.
Dopo un silenzio che copre quasi cinque secoli, si passa al più noto e vivace mondo dei Romani della colonia di Bononia (fondata nel 189 a.C.) e del municipio di Claterna. La vita dei coloni romani riemerge negli oggetti rinvenuti nel terreno fra i resti delle fattorie: la bella ceramica da mensa, quella più modesta o rozza da cucina, i vasetti per bere, i resti di tante ampolle in vetro per profumi o di lucerne decorate, anfore, macine e persino un frammento di vetro da finestra.
Un piccolo plastico propone la ricostruzione di una abitazione del IV secolo d.C., e dell'aia che la circondava; un modello di groma, lo strumento utilizzato dai romani per tracciare le strade perpendicolari fra di loro, è collocato accanto ad una grande foto panoramica del territorio nella sua configurazione attuale.
La visita si conclude sui riti funebri del mondo romano con la ricostruzione di due tombe, una in tegole e una in mattoni (rispettivamente del I e del IV sec. d.C.), provenienti dai sepolcreti di due fattorie.
Museo dell'Ocarina e degli Strumenti musicali in terracotta
* Via Garibaldi 35, Budrio
Orari di apertura:
* Dal 1 ottobre al 10 giugno
* Tutte le domeniche dalle 15.30 alle 18.30
* Per informazioni tel. 051 6928306 - 051 6928279
La prima domenica del mese dalle 10.30 alle 12.30 - dalle 15.30 alle 18.30
* Durata media della visita 1 ora
* Book shop
Entrata libera - Visite didattiche e guidate su prenotazione
Accessibilità ai disabili (1 sala su 2)
La storia del piccolo flauto in terracotta, che ha reso noto nel mondo il nome di Budrio, è raccontata in questo piccolo museo, unico al mondo, allestito negli spazi annessi all'Auditorium.
Centinaia i pezzi esposti � strumenti musicali e di lavoro, fotografie, dischi, spartiti, documenti � che testimoniano la creatività locale, ma anche esperienze diverse fiorite in Italia e all'estero, in particolare in Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti e America Latina.
Notevoli alcuni esemplari delle prime ocarine, risalenti a metà Ottocento, realizzate manualmente e senza l'uso di stampi dall'inventore Giuseppe Donati; quelle di inizio Novecento realizzate da Cesare Vicinelli, considerato lo Stradivari dell'ocarina; gli strumenti decorati con fregi liberty e dotati di uno stantuffo metallico prodotti dal budriese-londinese Alberto Mezzetti, fabbricante di ocarine dal 1870 al 1912.
In mostra anche significativi esempi della produzione di Emilio Cesari, Guido Chiesa e Arrigo Mignani, nonché la serie completa di nove ocarine prodotte oggi da Fabio Menaglio.
Interessante è il materiale sulla storia dei gruppi ocarinistici locali, che dal 1865 hanno contribuito a diffondere la conoscenza dello strumento in tutto il mondo con i loro repertori e i concerti.
Pinacoteca civica Domenico Inzaghi
* Palazzo della Partecipanza, Via Mentana 32, Budrio
Sala del Consiglio della Partecipanza (dipinti dei secoli XVI-XVII)
Orari di apertura - Dal 1 ottobre al 10 giugno
* Tutte le domeniche dalle 15.30 alle 18.30
La prima domenica del mese dalle 10.30 alle 12.30 - dalle 15.30 alle 18.30
* Per informazioni Tel. 051 6928306 - 051 6928279
* Durata media della visita 1 ora
* Book shop
Entrata Libera - Visite didattiche e guidate su prenotazione
La maggior parte del patrimonio proviene dalla donazione alla Comunità budriese del capitano Domenico Inzaghi, che nel 1821 legò espressamente la sua ricca raccolta di dipinti e incisioni alla Partecipanza e alla sua nuova sede annessa al Teatro Consorziale.
La Partecipanza, antica istituzione agraria di origine medievale, aveva rappresentato per secoli lo strumento di organizzazione del lavoro collettivo e dell'usufrutto dei beni agrari comuni, ma anche un vero e proprio organo di governo della comunità , fino all'epoca napoleonica, quando venne distinta dalla Municipalità . Al momento dello scioglimento, nel 1931, la raccolta Inzaghi e l'edificio passarono al Comune di Budrio.
La Pinacoteca fu inaugurata nello stesso anno, allestita e curata da Antonio Certani. A seguito della ristrutturazione della sede, avvenuta nel 1988-1989, la collezione fu incrementata con i dipinti provenienti dall'Opera Pia Bianchi e dalla Fondazione Benni di Bologna. I dipinti esposti rappresentano un ampio repertorio della pittura bolognese-emiliana dal XIV al XVIII secolo, con importanti artisti come Vitale da Bologna, Dosso Dossi, Prospero Fontana (sec. XVI), Lavinia Fontana, ma anche di maestri meno noti, attivi in aree periferiche o nell'ambito di celebri capiscuola - come Cima da Conegliano, Francesco Francia, Dosso Dossi, Ludovico Carracci, il Guercino, Guido Reni Â? di cui riecheggiano lo stile.
Museo dei Burattini
Collezioni Zanella / Pasqualini, Liliana e Marino Perani, Alessandro Cervellati e Alberto Menarini
* Via Garibaldi, 29, Budrio
* Via Mentana 19, Budrio
Orari di apertura del Museo di Via Garibaldi, 29 - Dal 1 ottobre al 10 giugno
* Tutte le domeniche dalle 15.30 alle 18.30
La prima domenica del mese dalle 10.30 alle 12.30 - dalle 15.30 alle 18.30
* Per informazioni 051 6928306 - 051 6928279
* Durata media della visita 1 ora
* Book shop
Entrata Libera - Visite didattiche e guidate su prenotazione
Accessibilità disabili (3 sale su 4)
Il museo, allestito nel 2000, ha una sede articolata.
Le sale di via Garibaldi, espongono le collezioni Perani e Menarini ( già Cervellati-Menarini), oggi acquisite dal Comune di Budrio, composte da oltre cento burattini della prima metà del �900 e da un ricchissimo materiale da baracca, bagaglio di lavoro dei burattinai bolognesi Amilcare Gabrielli, Arturo Veronesi e Umberto Malaguti.
In particolare il visitatore può ammirare una ricca varietà di materiali scenici; oggettistica varia (cappellini, elmi, vestitini, spade, sciabole, pugnali, bastoni) e un piccolo teatrino appartenuto a Umberto Malaguti, dove, su prenotazione e in particolari occasioni, si svolgono piccoli spettacoli e animazioni.
Sono numerosi i burattini realizzati dai fratelli Emilio e Filippo Frabboni, attivi a Bologna nei primi decenni del Â?900.
Nella cosiddetta Casina del Quattrocento, una delle rare abitazioni antiche del centro storico di Budrio, è esposta la collezione di burattini, pupi, scenografie ed oggetti di scena raccolti dai coniugi Vittorio Zanella e Rita Pasqualini.
Il Museo continua ad arricchire le proprie collezioni e le esposizioni ed a svolgere un ruolo di studio, ricerca e promozione nell'ambito del teatro dei burattini.
Burattini (da buratto, la stoffa grezza che veniva usata come setaccio per separare la farina dalla crusca): figure a mezzo busto con testa e due mani animate dalle agili dita del burattinaio. Strettamente collegati alla cultura popolare, rappresentano in genere i vari caratteri e difetti umani e sono.
Marionette : a figura intera ed arti snodati manovrati dall'alto attraverso ferri o fili. Interpretano di solito testi colti, come il romanzo cavalleresco e il melodramma, indossando abiti più eleganti e a volte costumi d'epoca.
Museo della Valle dell'Idice
Fondazione Cervellati
Il Museo della Valle dell'Idice è stato inaugurato il 3 novembre 2001 ed è retto, per l'attività culturale ed amministrativa, dalla Fondazione Cervellati; questa è una originale istituzione che si è concretizzata grazie alla convergenza di pubblico, il Comune di Budrio, e il privato, la famiglia di Sante Cervellati; è collocato in un edificio scolastico, realizzato nel 1922 e dismesso negli anni ottanta: pregiato da uno stile neo-rinascimentale, ricco di ornamenti; già nella denominazione emerge una attenzione territoriale che non intesa come un recinto esclusivo- pone il focus dell'interesse culturale sulle risorse territoriali, luoghi e protagonisti singoli e collettivi, nelle dinamiche di trasformazioni epocali, nel dialogo tra locale e il contorno, anche il più vasto possibile, se necessario.
Le principali iniziative
L'inaugurazione, 3 novembre 2001, fu accompagnata da una mostra, terra e onde, sui mezzi di comunicazione inventati o prodotti da Guglielmo Marconi: l'occasione veniva dalle antenne della stazione radio di Budrio; una intervista a Nerino Rossi, autore e testimone dell'occasione, poneva in risalto il cambimento dal mondo rurale antico verso le rotture e le innovazioni prodotte dai mezzi di comunicazione di massa, la radio in particolare.
La seconda grande mostra è del 9 novembre 2003, aveva per titolo: un cucciolo nel DNA della Ducati; grazie alla collaborazione di Gianluigi Mengoli, attuale responsabile dei motori Ducati, è stato possibile ripercorrere la storia del primo motore di successo della casa bolognese; anche in questo caso un crinale, la guerra, con l'invenzione di un motorino-bicicletta: testimone di una economia in fase di ricostruzione e di cambiamento epocale.
La terza mostra risale all' 11 dicembre 2004, titolo: le moto vestite; continua il serial sulla produzione motoristica della Ducati; ancora con l'apporto di Gianluigi Mengoli e di una koinè di appassionati, collezionisti, autori di imprese o di produzione motoristica che appartengono al "mito del motore" di questa regione e non solo; ancora un cambiamento, una mutazione: l'aggettivo "vestite" sottolinea la produzione di moto per città , scooters, per un pubblico che appartiene a un modo, un ambiente urbano e terziario, molto diverso da quello del cucciolo, ancora rurale o, al più, in procinto di urbanizzarsi; nella occasione si è prodotto un video sul ripristino di un viaggio di una giovane famiglia in scooter anni sessanta.
(testo a cura di architetto Antonio Nicoli)
BIBLIOTECA
La biblioteca comunale, recentemente intitolata al budriese “A. Majani Nasica”, noto pittore illustratore e caricaturista, trae origine da un primo nucleo librario di 12600 volumi donato alla comunità di Budrio, nel 1860 dal sacerdote cittadino budriese Don Giuseppe Benedetti.
Nel 1870 fu istituita la Biblioteca Popolare Circolante.
Nel 1893-95 la budriese Corinna Testi Pescatori, organizzò qui una Università Popolare.
Tra il 1979 e il 1987 alla biblioteca viene donata la libreria scientifica e di varia letteratura del Prof. Luigi Vignoli, docente di botanica all'Università di Bologna.
Un'altra pregevole raccolta è rappresentata dalla donazione di Felice Via, in memoria del figlio Giulio, che contiene, fra le altre, tutte le opere di Voltairein edizione del 1792.
Nel 2003 si è aggiunto al patrimonio librario della biblioteca una interessante raccolta di scrittori classici russi, proveniente dalla biblioteca del maestro budriese e scrittore per bambini, Natale Minarelli.
Presso la biblioteca si trova anche l'Archivio Storico Comunale della Partecipanza.
Dagli uffici del Comune sono pervenute alla biblioteca una raccolta di foto di cui è in corso il riordinamento.
La collezione comprende fotografie realizzate dal 1950 ad oggi.
RISTORANTE
Dopo aver girato per un'oretta ed aver visto, esternamente quasi tutto quello che c'era da vedere, ritorniamo sui nostri passi per trovare un buchetto dove mangiare. In realtà lo avevamo già individuato, ma aspettavamo do trovarne altri, cosa che però non è successa.
Siamo vicino alla Piazza del Teatro e lì, lungo il corso principale, si apre questa palazzina, con ingresso a vetrata e con scritto sopra " Albergo Ristorante del Teatro". Saliamo i tre gradini ed entriamo nella hall. Hall stretta con corridoietto per toilette subito sulla sinistra, di seguito bureau e poi ingresso cucina. Di fronte scala che porta ai piani superiori dove presumo siano allestiti gli alloggi. Sulla destra si aprono due ampie volte che conducono nelle sale adibite alle libagioni. Di fronte al bureau parete tappezzata di quadretti con fotografie di attori più o meno noti. Sulla parete del bureau invece altre foto incorniciate con scene calcistiche e ritagli di giornale. Scorgo un nome: Stefano Chiodi, e ad un milanista come me rievoca ricordi di scudetto.
Stefano Chiodi è sì il calciatore che ricordavo, ma anche il titolare di questo esercizio.
STEFANO CHIODI
Da wikipedia:
Si rivelò l'elemento adatto per supportare lo schema di gioco ideato da Liedholm che prevedeva la presenza di un'unica punta fissa con l'inserimento in zona goal a seconda delle situazioni di gioco degli esterni e dei centrocampisti dalle spiccate caratteristiche offensive quali Maldera, Novellino, Antonelli, Bigon. In qualità di unico attaccante "naturale" dell'undici titolare, l'attaccante bolognese si distinse in modo particolare per la capacità nel tenere impegnata l'intera difesa avversaria dimostrando un temperamento combattivo supportato da qualità tecniche non indifferenti quali capacità di smarcamento, dribbling efficace, scatto pronto e potente e tiro rapido.
Dopo i primi calci al pallone nel Castelmaggiore, squadra di promozione, a 15 anni Chiodi si ritrovò conteso tra Bologna e Torino. La spuntò la squadra granata ma il trasferimento del giovane attaccante bolognese sotto la Mole sfumò per la decisa opposizione del padre che preferì indirizzare il figlio a Bologna.
Stefano Chiodi con la maglia della Lazio fu inserito in prima squadra, Chiodi non disputò alcun incontro nella stagione 1974-1975 pur dimostrando di avere la stoffa per sfondare. L'anno successivo la società petroniana lo diede in prestito al Teramo Calcio riportandolo a Bologna dopo solo un anno per farlo esordire nella massima serie al fianco di Sergio Clerici. Per lui 22 gare e 8 goal, segno di un promettente avvenire che puntualmente avvenne nel 1978-79 con il passaggio al Milan che Nils Liedholm riportò ai vertici dopo anni di delusioni. Chiodi nel suo ruolo di unica punta in un attacco che non prevedeva per lui un partner fisso, contribuì fattivamente alla conquista del decimo scudetto rossonero andando a segno 7 volte durante la
stagione, 6 volte su rigore e una su azione.
L'anno successivo si ripetè sugli stessi livelli ma lo scudetto non arrivò. Ci fu invece la retrocessione in Serie B del Milan a causa dello scandalo del Calcioscommesse. Ceduto alla Lazio, retrocessa anch'essa in Serie B dopo la sentenza CAF, Chiodi non riuscì a riportare con i suoi 6 goal la squadra biancoazzurra nella massima serie, ma tornò ugualmente ad esibirsi in Serie A rivestendo dopo tanti anni la maglia del Bologna, peraltro senza
fortuna vista la negativa stagione della squadra rossoblu retrocessa a fine anno dopo un deludente campionato. E di seguito ancora la discesa sempre con la Lazio fino all'abbandono dell'attività professionistica.
da http://www.storiedicalcio.altervista.org/stefano_chiodi.html:
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STEFANO CHIODI
POCHI GOL, MA BELLISSIMI
«Agivo da unica punta, mi muovevo orizzontalmente per fare spazio agli altri. Il pubblico mi voleva bene lo stesso»
Se ne andò da Bologna a nemmeno 22 anni: da lucente 'stellina' , gli si prospettò di salire a conquistare l'agognata 'stellona' rossonera.
Ci riuscì subito, al primo colpo... Sarà un caso, o l'ennesimo caso, ma la prima rete in serie A Chiodi la segnò, nella partita d'esordio, proprio al Milan. Anno '75: lui neanche vent'anni, della classe '56.
«Altro gran bel gol: e così divenni titolare».
La stagione seguente, altra rete al Milan. Un vizio, o la spiegazione del perché, nel '78, a un miliardo e 800 milioni, l'acquistarono.
In realtà , arrivò a San Siro grazie a Liedholm. «Chiodi fortissimo, diceva il barone. Se lui e Rivera fossero rimasti, avremmo rivinto lo scudetto: lo spogliatoio, vero motore di una squadra, erano loro. E poi c'era la società , grandissima anche allora».
Cresciuto nel Progresso (a 15 anni in Promozione), rifiutò subito Torino.
«Con Graziani e Pulici non avrei mai giocato, me lo confessò disperato, nell'under 21, Garritano». Scelse Bologna (casa e tifo): prima nella Primavera di Pecci, Colomba e Paris e poi, dopo una gavetta a Teramo, in prima squadra, campionato '75-'76, l'ultimo prima delle grandi sofferenze di fine decennio.
Da lì parte la sua storia negli almanacchi. Storia piena di grandi personaggi e veri amici.
«A novembre, il Milan della stella si è ritrovato insieme ad Abano Terme a casa di Bigon: una grande emozione. Mancavano solo Novellino e Capello: di Walter mai avrei detto che sarebbe riuscito a far l'allenatore, gran ragazzo ma un po' troppo nervoso; di Fabio invece ne ero certo, capiva già tutto da
giovane».
«Il calcio mi piace, belle partite e tanti campioni. Il campo mi manca, dopo l'esperienza nelle giovanili del Bologna (ho avuto anche Cipriani), ma ormai ho deciso di seguire da vicino le mie attività ».
Appena può, però, va a giocare con le vecchie glorie, senza risparmiare spallate e gol. Per Chiodi il grande amore continua ad essere rotondo.
Quella di Stefano Chiodi fu una carriera fulminante, un veloce giro di valzer a cavallo fra gli anni '70 e '80, legata al Bologna e al Milan (con intensa parentesi laziale) e conclusasi precocemente, a soli 26 anni.
Luminosa come una cometa rimasta in orbita troppo poco.
Quella polvere di stelle, adesso che fa l'oste in provincia, Chiodi se la ricorda alla perfezione: gli anni rossoblù, i primi gol, i consigli di Gringo Clerici, i trionfi milanisti, con grandi campioni e grandi uomini, Liedholm e Rivera in testa, il rigore sbagliato a Roma con la maglia della Lazio, il ritorno a Bologna, funestato dalla retrocessione e dalla gran capocciata fiorentina con Graziani che lo lasciò in coma per una notte, disarcionandolo da una carriera che era solo al suo giro di boa.
LA SCHEDA:
Stefano Chiodi è nato a Bentivoglio (BO) il 26/12/1956. Cresciuto nel Castelmaggiore, passa al Bologna che lo gira in C al Teramo per un anno. Rientra in rossoblu ed esordisce in serie A il 19/10/75 in Bologna Milan 1-1, rimane sotto le due torri fino alla stagione '77/'78. Passa al Milan giusto in tempo per conquistare lo scudetto della stella, condito da 7 reti (si cui ben 6 su rigore). Nel '80/'81 scende con la Lazio in serie B prima di ritornare per una breve e amara esperienza a Bologna (solo 15 presenze e un gol). Nel '83/'84 ultima stagione da professionista nel Prato in C1, poi, a neanche trent'anni, conclude malinconicamente tra i dilettanti. Chiodi di fatto si fermò lì, dopo un altro anno alla Lazio, e poi gli ultimi spiccioli di professionismo a Prato, nel Campania, a Rimini, Lugo e infine Pinerolo. A 30 anni lo stop e il richiamo dell'amata "bassa" . Nel suo Ristorante del Teatro, a Budrio, piccolo feudo dove amministra diverse attività , cè la foto del tiro al volo col quale inchiodò un immobile Ivano Bordon. Era il 29 gennaio 1978.
Sembra ieri.
«Il mio gol più bello: io segnavo d'istinto e quindi mi venivano bene», dice. Da record lo score nel Milan della stella: 7 reti, di cui 6 su rigore.
«Agivo da unica punta, mi muovevo orizzontalmente per fare spazio agli altri. Il pubblico mi voleva bene lo stesso, sul dischetto tiravo una gran botta, ne sbagliai solo uno, alla Lazio, non andammo in A e fu una mezza tragedia. Cose che capitano».
da: http://www.magliarossonera.it/protagonisti/Gioc-Chiodi.html
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Nato il 26.12.1956 a Bentivoglio (BO)
Centravanti-ala (A), m 1.78, kg 72
Stagioni al Milan: 2, dal 1978-79 al 1979-80
Proveniente dal Bologna (squadra nella quale è cresciuto)
Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Coppa Italia il 30.08.1978: Lecce vs Milan 2-3
Ultima partita giocata con il Milan il 13.04.1980: Milan vs Bologna 4-0 (Campionato)
Totale presenze in gare ufficiali: 67
Reti segnate: 22
Palmares rossonero: 1 Scudetto (1978-79)
Esordio assoluto in Serie A il 19.10.1975: Bologna vs Milan 1-1 (1 gol)
Ha giocato anche con il Bologna (A) (dal 1975-76 al 1977-78, poi stagione 1981-82, con 87 presenze e 19 reti in Serie A), il Teramo (C), la Lazio (B) (1980-81, poi stagione 1982-83 con 38 presenze e 6 reti), il Prato (C), il Campania, il Baracca Lugo.
"Il Milan che vince il decimo scudetto che vale la Stella, nel '79, è forse l'unica squadra campione d'Italia con una prima punta capace di realizzare un solo gol su azione (al Catanzaro, n.d.r.). L'eroe di questo bizzarro primato è un centravanti-ala emiliano che, dopo un anno di apprendistato al Teramo e tre buoni campionati al Bologna, giunge a San Siro nell'estate del '78. Ha 22 anni e fisicamente è un torello, non ha paura di nulla.
Liedholm lo piazza in mezzo all'area: il suo compito è prendere botte e aprire spazi per le mezze punte, i fantasisti ed i terzini dal gol facile (i vari Bigon, Antonelli, Novellino, Maldera). Il risultato è il titolo tricolore, cui l'ex rossoblu contribuisce, appunto, con una rete su azione e sei rigori,
specialità nella quale eccelle (li tira nel modo più rassicurante, una stangata senza nemmeno guardare il portiere e chi s'è visto s'è visto). Dopo due annate in rossonero va alla Lazio, ancora al Bologna e di nuovo alla Lazio: senza mai spopolare." (Dal "Dizionario del calcio italiano" di Baldini & Castoldi, 1999) "Attaccante coraggioso, poco agile ma solido, un po' macchinoso nei movimenti ma con un tiro potentissimo.
Un lottatore e un creatore di spazi, più che un realizzatore, tanto che nello scudetto della "Stella", da punta titolare, segna un solo gol su azione." (Da La Grande Storia del Milan, Gazsport 2005).
Ora Stefano Chiodi, punteros del Bologna di Pesaola e del Milan della Stella, raccoglie le confidenze dei pensionati giocatori di tressette nel Bar Centrale di Budrio.
da http://archiviostorico.gazzetta.it/1999/maggio/01/CHIODI_DESTINO_STELLA_gm_0_990501215.shtml
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CHIODI, UN DESTINO DA STELLA
Anche se il calcio mi ha insegnato tanto, la vita vera inizia nel momento in cui smetti di giocare. Finchè sei dentro al mondo del pallone, e non puoi restarci se ti manca l'entusiasmo, le cose sono fin troppo facili".
Stefano Chiodi, il calciatore bolognese che prima di lasciare l'agonismo aveva gia avviato un'altra attività di successo, è rimasto un tipo concreto e di poche parole. Appena si lascia andare, racconta: "Da ragazzo giocavo in una squadretta di periferia. Al campo ci andavo in bici, distava da casa 10 km. In piu gli zii mi portavano allo stadio a tifare per i miei idoli, mezzeali del Bologna quali il tedesco Helmut Haller e Giacomo
Bulgarelli. Facevo pure atletica leggera ma a 15 anni ero gia in promozione e cosi scelsi di dedicarmi al calcio. Tre anni dopo debuttai addirittura in A con i rossoblu: pareggiammo 1-1, in casa, contro il Milan. Feci anche gol: in carriera ne ho fatti pochini ma tutti stupendi. Quella volta partii da meta campo, scartai 4 o 5 avversari e tirai in porta con tutta la forza che avevo. L' altra rete la segnò Vincenzi. Strano destino: qualche
anno piu tardi lui si trasferi al Bologna, io al Milan". Nel '78 Stefano passa in rossonero: fa 7 gol e vince lo scudetto della stella, guidato da Niels Liedholm. Nel cuore custodisce pero il ricordo di un altro grande allenatore: Nereo Rocco, morto qualche mese prima della conquista del tricolore. Pieno di nostalgia, rammenta: "A Milano abitavo in un residence. Accanto alla mia stanza c'era quella del Paron che, dopo cena, passava a darmi qualche consiglio. Una notte davano in tv un incontro di boxe con Muhammad Ali, credo.
Quella sera Rocco passò da me e con la sua proverbiale calma disse: 'So che seguirai il match: vengo anch'io. Però fammi un favore, compera una bottiglia di vino' . Non ricordo che marca mi indicò: so che costava 80 mila lire e, per non fare brutta figura, ne acquistai due. A fine match si porto via la bottiglia rimasta...". La grintosa punta, che conta 3 presenze e 2 reti in nazionale Under 21 e 2 match e 2 gol nella Militare, quando passò alla Lazio subì una squalifica di 6 mesi per illecito (scommesse). Tornò poi al Bologna (con uno stop altrettanto lungo per un infortunio riportato in uno scontro con Graziani), quindi di nuovo alla Lazio, poi Prato, Campania e Rimini, per finire a Lugo di Romagna. Stefano, che nel frattempo aveva acquistato un albergo, ha lasciato a 30 anni: per 3 ha allenato i giovani del Bologna, poi ha fatto l'osservatore. Ora vive a
Budrio; oltre all'albergo, ha un ristorante e un bar con ricevitoria Totocalcio, gestiti con la moglie Fausta. Ha il
patentino di allenatore, ammira Beppe Signori e confida: "Quando ho smesso avevo paura di non farcela e mi sono staccato dal calcio per un anno. Ho sistemato i miei cimeli in due bauli che non ho piu toccato. Forse ora e giunto il momento di aprirli". E di tornare nel mondo del pallone...
DI ROSANNA SCHIRER
A TAVOLA
Entriamo nella sala deserta e ci dirigiamo verso il fondo, per stare più tranquilli se fosse arrivato qualcun'altro. Ci sediamo ad un tavolo con tre sedie, purtroppo nel locale mancano totalmente gli attaccapanni e l'idea di lasciare il mio cappotto con tutto dentro chissà dove non mi sconquinfera assolutamente, così sulla terza sedia sono finiti il cappello, i cappotti e la borsetta. Locale ampio e sobrio, dai colori chiari pastello giallo e verde pisello, un po' discutibili come accostamento, colori troppo appariscenti con vernice lucida, anche se spatolati, arredamento in stile, bello. Ampie finestre e buon spazio fra i tavoli.
A servire una ragazzotta, che dopo alcune occhiate mi sembra sprecata a fare la cameriera, anche se è brava, precisa e professionale. E' il fisico che c'è sotto alla tenuta da cameriera che tradisce altre possibilità . Porta i calzoni abbastanza attillati in vita e larghi dalle cosce in giù, quando si muove mette in mostra un posteriore di tutto rispetto protetto da un tanga... per fortuna mia moglie non coglie queste mie occhiate "invadenti". Sopra gilet nero slacciato su camicetta di seta bianca, anche qui le forme si notano benissimo, un davanzalino prosperoso e sodo sobbalza sotto le vesti.......... Bella in viso, non bellissima, giovane, con un paio di occhiali alla moda, pelle liscia e leggermente abbronzata. Tutte le volte che passa mi scappa l'occhio.....beh, e allora?, sono vecchio, sposato, ma non sono micca cieco!!!!
Arriva il menù che presenta anche la carta dei vini, semplice con poche etichette. Propendo per mezzo litro bianco della casa, frizzante, servito fresco e discreto.
Ordiniamo un antipasto, in realtà ne avevamo chiesto uno a testa, ma ce ne hanno portato uno in due, fa lo stesso, tanto era abbondante. Consisteva di crostini caserecci, cioè con pane soffice e morbido, riscaldato e con sopra varie tipologie di salse fatte in casa dalla salsa al pomodoro a quella coi carciofi a quella con la pancetta.... ottimi e gustosissimi.
I primi, la mia signora ha propeso per tortellacci in salsa di noci, a dir suo senza infamia e senza lode, mangiabili, io ero indeciso tra tagliatelle al ragù e al limone, la giovincella mi ha proposto un tris, così ho preso tagliatelle al ragù, al limone e alle zucchine. Nel complesso sughi buoni, quello al limone ottimo, strano e intrigante, ma la pasta, anche se tassativamente fatta a mano, vanto del locale, era troppo cruda,
troppo al dente, così da far sembrare le tagliatelle un po' indigeste.
Mia moglie ha saltato il secondo per passare direttamente al dolce, coppa al mascarpone, a suo dire, eccezionale.
Io invece ho preso mozzarella ai ferri con melanzane e zucchine. Strana, non cattiva ma un po' pesantuccia. le verdure così così.
Due deca, lofi, e il conto:
2 coperti 5,00
1/2 vino 4,00
1 minerale gas 2,50
1 antipasto 7,00
2 primi 16,50
1 secondo 10,00
1 dolce 4,00
2 caffè 4,00
totale 53,00
Direi non economico ma neppure caro, una via di mezzo.
Valutazione finale 3 cappelli, val la pena se si fa una gita in loco. Non è eccezionale ma si mangia bene, semplicemente, il cuoco è giovane ma capace, la rezdora che fa la pasta un po' più attempata.
10 e lode alla ragazòla, molto carina, brava e soprattutto tutta da guardare......
Consigliato!
[Piggo]
27/12/2008
Trovo un po' scarna la recensione, manca la genealogia del proprietario del ristorante e, cosa assai peggiore, l'elenco con i numeri telefonici di tutti gli abitanti di Budrio, ti prego di rimediare al più presto e di non lasciarci in sospeso privi di notizie irrinunciabili....