Milan l'è un bel Milan, si dice sotto la Madoninna.
Ci sto da 6 anni ormai e ancora mi cruccio un po' di non possederne i segreti culinari più reconditi, le ricette più tradizionali, i rituali del desco maggiormente in voga. Eppure sento continuamente amici e conoscenti decantare le lodi di quella o quell'altra trattoria, dal gusto rustico, con pochi tavoli e tanti sorrisi da ritrovo consumato: mi manca ancora l’Ermes meneghino, in pratica..
Quindi sono molto contento quando con i miei coinquilini decidiamo per una cena fuori d’ inizio anno. Sulla guida "Milano low cost" troviamo l'indicazione del locale che sembra fare al caso nostro: la trattoria "Mandi", a 6 minuti a piedi da casa nostra, descritta come osteria popolare di cucina friulana. Cucina friulana che, ammetto, ignoro totalmente, a parte il famigerato "frico".
Arriviamo quindi in questa serata d'inizio gennaio con la testa ancora alle vacanze cercando di dimenticare che, ahinoi, il dovere chiama - anzi ha già chiamato - e sulla porta (cioè proprio in strada) ci accoglie un soggetto che emana essenza di oste da tutti i pori: scusa Ermes, ma qui c'è qualcuno che ti tiene testa. Grembiule bianco con qualche doverosa macchia, pancia prominente e soddisfatta, capello lungo argentato foltissimo e soprattutto naso a becco bello spavaldo con un rossore che solo il fondo tinta marca "cabernet" può ottenere.
Ci guarda e senza "buongiorno-buonasera" apre la porta e, indicando un tavolo a fonda sala dice "via, filare". E io sono già contento. Il locale è un'unica sala, rustico, 28 coperti in tutto. bancone, cucina con finestrella sulla sala e tanti strumenti appesi alle pareti, chiaramente ben tenuti. Pieno di calore, il Mandi.
L'amico oste ci porta il menù, e alla mia domanda un po' saccente "Qual'è la specialità della casa?" risponde "Il conto". Risate, 1 a 0 palla al centro e via. Esce a farci gli onori anche la signora ostessa, Flavia, nientemeno che classe 1935, con un accento romano e uno sprint niente male mentre fa ziz-zag tra i tavoli. Insomma sembra che siamo in buone mani.
Il menù è impegnativo: pochi piatti, tutti friulani o non di cucina comune. Tra i primi i più quotidiani sono la pasta e fagioli e le pappardelle al capriolo. Ma decidiamo di sperimentare, e – su 5 a tavola – ordiniamo due porzioni di agnolotti carnici e due di fagottini di malga. Poi, in onore al Friuli, un assaggio di formaggi della casa, cervo con polenta, frico e Musetto con crauti. Ai dolci si penserà poi al momento opportuno. Da bere oltre all’ acqua - che l’oste consiglia di non sprecare visti i problemi globali - sincero Cabernet della casa in caraffa. Ne arriveranno 3 durante la serata. E via così.
I signori primi sono come minimo interessanti: sperimentali e azzardati, gli agnolotti hanno un ripieno di cioccolato fondente (si, davvero), prezzemolo, uvetta e patate. Non posso dire mi abbiano fatto impazzire, lo confesso. Il contrasto creato dal cioccolato è roba da palati forse più fini del mio, ma sono comunque contento di averli provati. Spettacolari invece gli agnolotti di malga, delle simpatiche polpette ripiene di formaggio montasio e radicchio, il cui incontro regala un sapore stuzzicante, acidino ma frizzante. Incuriositi, continuiamo.
I secondi proseguono la strada già solcata da chi li ha preceduti: sapori forti, abbinamenti a prima vista bislacchi, figli di tradizioni più frontaliere di quello che siamo abituati nell’alveo del Po. Il cervo con polenta è buono, rustico, anche se la salsina mantiene un retro-gusto da conservante confermato quando più tardi Flavia, la cuoca, già seduta al tavolo con noi, ci conferma che il “fu Bambi” è arrivato la mattina dritto dall’Australia.
Il frico invece è il campione della casa: trionfo della povertà in tavola, frittata di formaggio, cipolle e patate unisce gusto a una potenza calorica unica. Ma è veramente buono. Il musetto è il cotechino friulano, servito con crauti e polenta. Dall’aspetto non dissimile dal cotechino Ghirlandiniano, ha però spezie diverse, che portano ad associazioni gustative non ancora chiarite. Fatto sta che sparisce anche lui. I formaggi, trangugiati in sequenza rituale dal dolce al forte, si confermano una specialità regionale notevole.
Proseguiamo, incalzati dal duo di casa, che ormai non si risparmia una sosta con relativa chiacchera a ogni ordinazione. Vada allora per la Gubana e lo strudel, entrambi home-made, manco a dirlo. Compare in tavola anche una novità non richiesta ma apprezzatissima, cioè il mosto di ribolla gialla: mosto della vendemmia settembrina del 12, uva ribolla gialla, si presenta con una consistenza da limoncello ma un sapore da vino bianco novello piacevolissimo, una vera goduria con i dolci, evapora, infatti, in fretta.
E il cappello della serata va tolto proprio di fronte alla Gubana, cosa che mai mi sarei aspettato. Non ne avevo grande conoscenza, ma perbacco, tocca rimediare. frutta secca, consistenza panettoniana, cioccolato in interlinea, il tutto bagnato con grappa barricata: spettacolo. Proprio come quello che il duo di casa sta cominciando a dare: il signor oste infatti ha preso giù la chitarra e, accompagnato dalla moglie, comincia un repertorio “vecchia Milano” da non credere. Un omaggio al teatro canzone degli anni 60 e in particolare a Walter Valdi cantautore milanese che si scopre grazie ai due osti canterini. E giù di risate, chiacchere con la signora cuoca, grappe e mosto di ribolla fino alle 00.45 (dalle 21), quasi che ad andarsene sembrava una mancanza di cortesia.
Le risate calano però a conto fatto: 37 euro a testa non ce li aspettavamo, anche perché i 4/5 euri di troppo erano tutti sulle grappe e sui dolci, non segnati nel menù. Quasi a consolarci la signora ci saluta con un “Beh avete passato una bella serata però, no?”.
E noi ce ne torniamo via, barcollando nella nebbia, rimuginando un po’ sui quei 4/5 euro di troppo ma ancora ridendocela di gusto per tutto il resto. La prossima volta so che mi farò prendere meno la mano, ma per il resto ho segnato una tacca sulla lista “Milano: posti da provare”.
Consigliatissimo!!
[Lisus]
21/01/2013