“E ricomincerà…come da un rendez-vous…”
Almeno, questa era la mia speranza… la mia profonda speranza, la speranza che mi prende sempre quando le cose non vanno, che non so se riesco a trasmettere… perché la mia bimba più grande ha un carattere di ferro (non potrebbe essere diversamente, visto il lavoro che fa), pensa sempre di aver ragione (assomiglia alla mamma), ma è anche molto generosa (assomiglia alla mamma) e poi, anche se non sembra, ci pensa su parecchio ai consigli ricevuti e opera anche per cambiare rotta e per tornare sui suoi passi, quando si accorge di aver esagerato.
Il rendez-vous è a Dolo.
Pasquetta sensa ovi duri nei campi, ma incontro con la Giulia che era tornata in Europa, qualche giorno di vacanza a Rovigno, per trovare, di sua iniziativa, una riappacificazione col moroso, dopo che era stata un po' troppo superficiale.
L’aveva dipinto anche il Canaletto in un celebre quadro (che però è al museo di Oxford), il posto dove ci fermiamo è meraviglioso, non è cambiato molto rispetto a quello che si vede nel quadro, rispetto a 500 anni fa.
Il molini del Dolo sono un’opera idraulica realizzata vicino al punto di biforcazione del canale costruito all’inizio del 1500 dalla Serenissima per deviare le piene del Brenta lontano da Venezia.
Non è un vero ristorante, si chiama anche Vincafè, ci sono crostoni, tramezzini, insalatone, tanto vino, un ambiente favoloso dentro al mulino, una grande sala rettangolare vecchissima con le capriatone in legno, ancora una parte dei macchinari con una specie di passerella in legno sopraelevata, il pavimento in cotto sconnesso originale, tanta roba vecchia appesa, bellissimo, bellissimo.
Mia figlia, non so se creda ancora nella perfezione dei rapporti, fattostà che è spesso tentata di mollare questo per provare quell’altro. Non si fa così. La nostra natura è imperfetta. Fin tanto che non ce ne rendiamo conto, fintantoché domina l’orgoglio, non si combina niente di buono, si diventa penosi, anche se si pensa di aver fatto la cosa più figa de sto mondo, anche se si ha l’encomio di chi la vede in modo un po’ superficiale o di chi ragiona alla stessa maniera. E’ un encomio fasullo, è un rinserrare la saracinesca, è un rinchiudersi nelle proprie smanie.
“Serrande abbassate,
pioggia sulle insegne delle notti andate…
devo pensarci su… pensarci su…”
L’ordine faccio conto che sia per due (anche se siamo in quattro, ma due non mangiano) e non è un vero pranzo. Ideale per una tapa de cheso, se fossimo in Ispagna.
Due calici di Soave dell’azienda Gini, vino ben bevibile, profumo di fiori e frutta, sapore secco, asciutto. Poi due mezze minerali. Un tramezzino alla pasta di granchio, buono, nessuna lamentela.
Due crostoni caldi di pane biologico, con fontina e prosciutto (ugualmente di origine bio, mi par d’aver capito), buoni, caldi. Un’insalatona con tonno e mozzarella, bella abbondante anche per due, verdura curata bene. Per un conto totale di 28,50 euro.
Non è alta cucina, meno impegnativo di una pizza, e non importava neanche la cucina in questo caso… importava di più il contorno, e noi ci eravamo sistemati fuori a parlare, sul ponticello sopra il canale del Brenta, riparati dal bel soletto tiepido sotto degli ombrelloni di legno e teli di canapa beige. La gente ci passeggia a fianco e va alle bancarelle sulla sponda opposta, vicino allo squero. Un posto fantastico, poco distante dal parco di Villa Pisani altro posto fantastico, che io ricordo particolarmente per un concerto incredibile di Goran Bregovic.
C’è un capitello della Madonna, una specie di tabernacolo, con una scopa rotta all’interno del locale, appesi al muro. Narra la leggenda che una povera vedova con tanti figli chiese al gestore del molino di poter raccogliere da terra i chicchi di grano caduti, alla sera, finito il lavoro. Avrebbe ripulito il locale ed in cambio avrebbe avuto da dar un po’ da mangiare ai figli. Richiesta accolta.
Dopo un po’ di tempo arrivò un signore a macinare il suo grano e, alla sera, prese una scopa per raccogliere i chicchi caduti fuori dai suoi sacchi. Il gestore del mulino gli raccontò della povera vedova che stava per arrivare e gli chiese di lasciar perdere. Il signore rispose: “Ma quel grano è mio... “ E così proseguì, ma ad un certo punto sentì un dolore alla schiena... ma proseguì... e poi più forte... ma proseguì... poi gli si spaccò la scopa... ma proseguì... poi gli si spaccò la schiena... ma proseguì... con orgoglio, a raccogliere tutti i suoi chicchi, uno a uno. Ridotto malissimo, venne portato a casa, e sul letto di morte chiamò il prete: ”Devo confessare una cosa” disse. “Ah, bene – pensò il prete – chissà che non abbia ripensato al suo gesto... magari aveva anche ragione... però... insomma... era meglio se lasciava stare...”
“Prete, ti devo dire una cosa – disse il signore – non penserai mica che io sia un bambino, quei chicchi di grano erano miei e ho fatto bene a raccogliermeli.” Così morì.
(il capitello con la scopa venne messo lì a ricordo, dai contadini della zona)
A me invece sembra di rivivere, loro sono lì mezzi abbracciati... perché la Giulia si è resa conto che mica sempre la dirittura e la rigidità pagano, si è resa conto di aver ferito, magari anche involontariamente, e ha cercato di rimediare, ha ascoltato.
Non è finita così. La controparte invece, alla fine, non ha ascoltato e ha commesso lo stesso errore d’orgoglio. E le lacrime che si sentono per telefono dopo qualche giorno non trovano nulla da assorbire.
“... ma come piove bene sugl’impermeabili...
e non sull’anima...”
http://www.youtube.com/watch?v=DEH-ckKC_3U
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Consigliato!
[Pagnota]
07/05/2011